venerdì 19 marzo 2010

Giornalismo italiano

Sdraiato sul divano, dopo una dura giornata di studio e di girovagare, ho l'(insana?) abitudine di mettermi a guardare quei "programmi deprimenti", così li chiama la mia ragazza, noti come talk shows: Ballarò, AnnoZero, Porta a porta per citarne qualcuno. Diventati ormai la vera e propria terza camera del Parlamento, l'unica seguita da milioni di italiani, sono i caldissimi ring dove politici di tutte le risme si affrontano a muso duro. Usano poco il fioretto dell'oratoria, più spesso sciabolano accuse reciproche, sventagliano dati economici e statistici inspiegabilmente sempre contrastanti, parano gli affondi avversari cambiando discorso o stravolgendo semplicemente la realtà.
Vediamone un simpatico esempio di qualche tempo fa a Ballarò:
la Brambilla critica Soru, allora governatore della Sardegna, citando dati sull'aumento di disoccupazione nella regione, poi...





Infine il classico politico per suggellare la propria tesi invoca (ruffiano) gli italiani che lo hanno votato e lo rivoteranno: -gli italiani non sono stupidi, queste cose le capiscono!-
Discorso che mi lascia sempre un po' perplesso ma lasciamo stare..
E vabbè -si dice- sono politici, fanno il loro mestiere...
Il problema infatti è un altro.
Il problema è che in Italia a distorcere la realtà a proprio piacimento, confondendo anche le menti dei meno sprovveduti, non bastano i politici: ci si mettono anche i giornalisti. Non tutti ovviamente, ma molti.
I giornalisti dovrebbero essere gli arbitri dell'informazione: avere certo idee politiche ed esprimerle anche, ma fissare dei paletti oltre cui non andare, qualunque sia l'orientamento: i paletti che dividono la verità oggettiva dalla menzogna (come fa giustamente Floris nel video).
Paletti che devono essere gli stessi, valere da una parte e dall'altra.
Purtroppo non è così. Molti giornalisti sono diventati dei politici. Dissacranti verso la loro unica auspicabile fede, la Verità, si prostituiscono per qualche idea politica, per qualche schieramento (per qualche tornaconto?). Inquinano disastrosamente l'informazione, avvalendosi dell'autorevolezza giornalistica che li dovrebbe rendere imparziali.
Ormai nella terza camera del Parlamento anche i giornalisti sono divisi da una parte e dall'altra dello studio a seconda dell'orientamento: affiancano fisicamente i rispettivi "compagni politici".
Guardate questo scontro tra due direttori di giornali di fazione opposta: Ezio Mauro di "Repubblica" e Maurizio Belpietro de "Il Giornale". Discutono sul caso Noemi Letizia (la minorenne che chiamava Berlusconi "papi"). Cercano di far prevalere la propria verità, minimizzando il resto, proprio come due politici.


Ebbene, è sempre stato così?
Forse, ma mai così tanto.

Quello che amareggia è che non ci sia un giornalista di destra in grado di criticare le menzogne e le gaffes di Berlusconi (ne ha fatte tante) e che disapprovi il governo, anche se di destra, laddove sgarri e non mantenga le promesse. In realtà quello che amareggia maggiormente è che non ci sia più tra noi il grande Indro Montanelli, giornalista di destra senza dubbio, ma sempre indipendente e, se necessario, critico nei confronti del cavaliere e dei partiti.

Travaglio descrive bene la degenerazione del giornalismo odierno e il coraggio perduto.


Berlusconi (sotto la copertura del fratello) fu editore per molto tempo di Montanelli quando questi era direttore de "Il Giornale". Montanelli potè scrivere tutto ciò che voleva fino a quando il cavaliere non "scese in campo" nel '94, imponendo al giornale la sua politica. Montanelli rifiutò risolutamente, lasciò "Il Giornale" e fondò "La Voce". Marco Travaglio fu suo "discepolo", lavorando per lui in entrambi i giornali.

Esiste un nuovo Montanelli?
Forse Travaglio?

Come Montanelli, si ritiene un liberale, quindi sostanzialmente di destra (cosa che molti ignorano). Tuttavia, come tutti sanno, non è affatto un berlusconiano. Travaglio possiede anche quel coraggio e quell'intransigenza che aveva il "Maestro" per condurre le inchieste giornalistiche, la ricerca del vero. Tuttavia Travaglio è rimasto troppo immerso nel suo ruolo di attaccante, anticasta e antipolitico, che va contro tutti e fino in fondo, per non essere considerato paradossalmente anche lui un giornalista politico. Manca di quella visione d'insieme, non antipolitica ma extrapolitica, tipicamente anglosassone, di quell'originale disegno di idee con cui Montanelli sapeva vedere e analizzare la politica, senza dover render conto a nessuno, tantomeno a se stesso. Il ruolo, "l'etichetta" di polemico rende Travaglio un giornalista non imparziale, sebbene perfetto in questi anni cosi burrascosi come contrappeso per la controinformazione di ben altro giornalismo.

Vediamo un bel video in cui Travaglio racconta di come Montanelli lasciò "Il Giornale"e poi lo stesso Montanelli interviene esprimendo la sua idea su Berlusconi.

Infine vorrei chiudere, citando un piccolo brano dai diari di Montanelli, che mostra l'eleganza letteraria e lo schietto umorismo tipicamente toscano del giornalista di Fucecchio:

Ogni tanto sono colto da accessi di umiltà. Dico a me stesso che sono soltanto un abile intarsiatore di frasi e che, più che a convincere il lettore, miro a colpirlo con mezzi talvolta poco leciti; che sono più spavaldo che coraggioso. Eccetera. Ma poi alla fine, invariabilmente, concludo che soltanto coloro che ne hanno molto dubitano del proprio talento. E così alle molte virtù che nei momenti di orgoglio mi attribuivo finisco con aggiungere, per umiltà, la modestia.



Nel prossimo post cercherò di fare un po' di chiarezza sul caso "presentazione delle liste pdl in Lazio", avvalendomi sempre di internet e youtube come validi aiutanti. .

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